La danza del segno

di Giorgio Segato Padova, Sala Samonà 2007

La danza del segno, che dilata i campi visivi e cattura spazi interni e fondi, in una efficace continuità di spazio psichico e intimo e spazio fisico e cosmico, e il colore come espressione umorale, che si accompagna all’animazione e fermentazione dello spazio, sono gli elementi costitutivi essenziali del lavoro di Raffaella Surian, padovana di origine, milanese di adozione e di scuola. è pittrice e grafica creativa, la sua spazialità autenticamente in espansione, la matericità del segno leggero e dei forti aggetti delle carte, il senso e l’esercizio della misura come base della composizione armonica…molti anni di lavoro, abbandoni, riprese, hanno condotto Raffaella Surian a una vasta gamma di orientamenti di ricerca e di esiti apparentemente anche molto differenti…ma sicuramente accomunati da un forte senso poetico del segno e dello spazio: segno non tanto come disegno, prefigurazione, bensì come graffio, gesto, esplosione…
Il colore interviene come evento pittorico di determinazione e definizione umorale, di accensione (rossi) o di acquietamento (bianchi, gialli) o di insofferenza dei sensi che anelano a rendere significante lo spazio… è appunto dalla padronanza tecnica che deriva la capacità di “riduzione”… in una variabilità musicale, armonica gestita in economia non descrittiva.
Particolarmente efficaci, in questo senso, mi paiono i “paesaggi” lacerati e a collage, i “pleniluni” energetici ed i libri, le “edizioni d’arte” a tiratura limitata, sempre con grande autonomia, in complementarità sensoriale tra vista e suono, mi viene da annotare, perché si tratta di grafiche che definiscono l’ascolto, l’introiezione della parola poetica piuttosto che il suo modularsi formale e di significato.
Di rilievo è anche la naturale tendenza di Raffaella Surian al gesto largo su grandi formati che assorbono l’attenzione in un campo di emozione panica, di partecipazione naturalistica pregna di suggestioni sensoriali, visive, tattili, olfattive, di contaminazioni materiche e di metamorfosi organiche (Apogeo, Oracolo, le belle sequenze di paesaggi con lacerazioni e collage, e di pleniluni che sembrano derivare dalle stelle che esplodono di Van Gogh in una spazialità sempre più animata e reattiva alla luce (Pioggia, Comete, San Martino, le grafiche degli Enigmi,).
Non basta però entrare nel senso probabile del racconto per sentire davvero la grafica, l’incisione di Raffaella Surian, la sua pittura prevalentemente segnica, è necessario compiere con lei il lungo e complesso itinerario dall’ideazione alla realizzazione, alla stampa, capire la scelta delle carte fatte a mano e da incidere quasi a rilievo plastico, e alla scelta degli inchiostri, dei colori, e del torchio, dei tempi di imbibizione dei fogli e di morsura delle lastre, capire le strategie, le abbreviazioni, gli errori da cui si impara e con cui non di rado si inventano soluzioni inedite: un itinerario operativo fatto di attrezzi, di odori, di pensieri e di immagini, di scelte che verranno alla luce pienamente solo dopo l’esecuzione e dopo la stampa, dando all’artista un tempo davvero lungo di attività immaginante e liberamente creative.
Nella pittura la Surian recupera quel tempo lungo fermando il gesto febbrile e indugiando a strappare lacerti del foglio, a toglierli, a sovrapporli o a dislocarli, facendo avvertire la precarietà della visione e la persistenza e continuità del sentimento.

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